Barbette.

 

 

Un artista che, forse per primo, è riuscito a rendere al meglio la dualità maschile/femminile diventando l’antesignano di tutto quello che appartiene alla cultura queer.
The exquise Barbette, così era l’appellativo che lo precedeva ovunque andasse.
Ma fu solo al Casinò de Paris che l’artista Barbette diventò tra le più grandi attrazioni che storia del music-hall rammenti.
All’apertura del sipario si scorgeva entrare una ragazza bionda e graziosa, vestita leggera con sole piume, tantissime piume. Camminando su una fune, al di sopra della testa degli spettatori, raggiungeva una piattaforma dove s’esibiva in spericolati, quanto difficilissimi, numeri “mortali” al trapezio e agli anelli. Con una leggerezza ed eleganza volante straordinaria. Togliendosi di volta in volta parti del costume e restando, alla fine, quasi nuda.
Poi, discesa al suolo, s’avvicinava fino al proscenio per sorridere al pubblico plaudente. Allora, veloce, la ragazza si toglieva la parrucca e si capiva che la bella acrobata altro non era che un uomo.
Gli intellettuali si precipitarono a vedere il travestito che faceva impazzire tutta Paris.
Tra i primi ad applaudirla e a sostenerla ci fu il geniale Jean Cocteau (1889-1963) che in una lettera ebbe a scrivere: né Stravinskij, né Auric, né i poeti, né i pittori, né me compreso…non s’è mai vista simile classe ed arte scenica dai tempi del divino Nijinski!
Anni dopo, nel 1926, dopo aver per lungo tempo soggiaciuto allo charme di Barbette gli dedicò un importante articolo sulla “Nouvelle Revue Française” in cui dichiarava: “E’ un giovane americano di 24 anni, un po’ gobbo e di andatura barcollante. Da una caduta gli resta una brutta cicatrice che fa retrocedere il suo labbro su una dentatura disordinata […]. Poi si trucca, sale sul trapezio e diventa indimenticabile nella luce magica del teatro, dove ciò che è Vero e Naturale non ha più valore. […] Quando si traveste da donna, non sembra una donna, è La Donna”.
Barbette era in realtà un giovane americano, di nome Vander Clyde, nato a Round Rochs in Texas nel 1904. Sua madre, semplice sarta, ebbe la malaugurata idea di portarlo, da bambino, al circo e poi se lo ritrovò, a casa, a fare il funambolo sui fili di ferro per stendere il bucato.
Quando un acrobata gli chiese se voleva imparare il mestiere lo seguì immediatamente. Capitò poi che rispose ad un annuncio sul giornale di una delle sorelle Alfaretta, “regine aeree di fama mondiale”, che cercava una partner al trapezio come rimpiazzo della defunta sorella.
Non ci fu nessun problema nel vestirlo da donna, iniziando una carriera col nome ambiguo di Barbette (allusivo, perché derivato da un tipo di grosso cannone).
Nella tradizione dei female impersonator, molto di moda nei vaudeville dell’epoca, fu poi spedito dal celebre agente William Morris in Europa dove fece letteralmente sensazione.
Anche Drieu De La Rochelle ne scrisse e dopo averlo visto pure Paul Valéry si domandò se non ci fosse un mito greco intitolato “Ercole trasformato in rondinella”. Impazzì per lui pure l’eterissimo fotografo Man Ray (1890-1976) che, per volere di Cocteau, gli scattò innumerevoli, quanto ambigue, immagini restate celeberrime e poi lo volle come protagonista per il suo film sperimentale “Emak Bàkia”(1926).
I reporters e tutti si lanciavano all’inseguimento di Barbette per tutta Parigi. Uno di questi lo intervistò nella sua camera d’ hotel, con lui che lo ricevette nudo, sul letto, col viso ricoperto d’una spessa maschera di bellezza al fango nero. Tre libri che figuravano sul suo comodino: “L’Ulisse” di Joyce, “L’inversione sessuale” di Havelock Ellis e “L’onanismo: solitario e a due” di un autore non ben precisato.
Tutte le sere, per anni, fuori dal suo camerino al Casino de Paris, poi al Moulin Rouge o al Cirque Medrano s’assiepavano ricchi americani entusiasti e le più celebri principesse francesi (tra tutte l’eccentrica Murat).
Non si parlava che dell’enigmatico Barbette, dalla potenza fisica prodigiosa ma con la grazia di un uccellino esotico. Jean Cocteau s’ispirò al suo look, per trasformare la Morte in giovane donna, nel suo balletto-tragedia d’avanguardia “Orphée” (1926), usando un attore travestito con raffinato abito Chanel ma con guanti di gomma per lavare i piatti!
Cocteau non si staccava dal camerino di Barbette, installandosi lì dentro già dalle otto di sera saltando la cena, dopo un veloce sandwich e un uovo sodo in un caffè di rue Clichy. Non voleva perdersi un solo istante della sua misteriosa compagnia. Estasiato, cercava di carpirne il segreto androgino, guardando la graduale e sublime trasformazione del trapezista che andava ben oltre l’artificio di trucco e parrucca. Alla fine dello spettacolo lo metteva dentro un taxi e lo portava al bistrò Boeuf sur le Toit a fare tardi tra amici pittori e musicisti come Derain e Eric Satie.
Una sera il talentuoso scrittore Raymond Radiguet (1903-1923), giovane amante di Cocteu, gli chiese: “Ma cosa pensi, mentre rischi la vita in scena?”. E Barbette subito rispose: “Penso alle mie piume!”. Cocteau sbatté le mani all’aria intuendone qualcosa di estremamente poetico e disse: “Raymond amore! Che meraviglia! Pensa alle sue piume: è un angelo!”. Ma Barbette subito aggiunse: “Ma no, ti prego! E’ solo che il mio costume di piume di struzzo è fragile. Ne metto fuori uso due o tre al giorno, soprattutto quando sono sul trapezio. Allora, ogni volta, mi dico: ancora 100 franchi di danno!”.
Ciò non scoraggiò certo Cocteau che lo introdusse anche nei salotti della più alta nobiltà francese, dedita all’arte moderna ed anticonformiste novità.
Nel 1930 usò l’angelico Barbette, nel ruolo di una donna, nel suo primo e scandaloso film “Le Sang d’un poéte”(1930), vestendolo Chanel e con a fianco i visconti De Noailles e la principessa Natalie Paley.
Dopo la prémière ci fu un tale scandalo (i Noailles furono cacciati dall’esclusivo Stork Club e ricevettero una scomunica religiosa) che si dovettero rigirare le scene con delle comparse al posto dei veri nobili.
Le cronache narrano che Cocteau se lo portò pure in una “casa chiusa” a Marsiglia, in compagnia dell’eccentrico scrittore gay Maurice Rostand (1891-1968).
Il terzetto assisté alla proiezione di un film pornografico. S’ignora di che tipo, sembrerebbe però fosse qualcosa con delle donne vere, dato che una volta riaccese le luci si scoprì che Ronstand stava russando pesantemente sulla sua sedia.
Erano gli euforici, cosiddetti Anni Folli, in cui Barbette incantava persino la rivista “Vogue”, che incaricò il suo migliore fotografo George Hoyningen-Huene (1900-1968) di ritrarlo come una vera star.
S’esibì pure a Berlino, Amburgo, Copenhagen, Varsavia, Barcellona e Madrid.
Alfred Hitchcock s’ispirò a Barbette, per il personaggio dell’ambiguo assassino trapezista en-travesti, per il suo film Murder! (1930).
Nel 1938, dovette abbandonare per sempre il trapezio.
Dopo una esibizione al “Loew’s State” di New York si ammalò di polmonite. L’indisposizione lo rese storpio e richiese, oltre ad un intervento chirurgico, altri 18 mesi di riabilitazione per tornare a camminare.
Si era già alle porte del conflitto mondiale, gli anni spensierati erano finiti da un bel po’, Barbette aveva vissuto fino in fondo la sua epoca e così divenne insegnante, per i giovani, nella scuola acrobatica del famoso Circo Ringling-Barnum-Bailey a Sarasota, in Florida.
Fu lì che andò a trovarlo nel 1942 il fotografo Horst P Horst (1906-1999), sorpreso di vedere che gli amici del bel mondo parigino non l’avevano certo dimenticato. In quella stessa giornata ricevette la visita della stilista Schiapparelli e della principessa di Faucigny-Lucinge.
Nel 1969, sempre elegante e raffinato come nei suoi giorni migliori, appassionato di letteratura e filosofia, lo ritrovò per una intervista anche lo scrittore Francis Steegmuller, biografo di Jean Cocteau che ne scrisse un profilo per The New Yorker dal titolo: “Un Angelo, un Fiore, un Uccello”. Nel 1989 tutto il materiale di Barbette fu raccolto in, appunto, “Barbette” con la sopraccitata intervista, il saggio di Cocteau e le foto di Man Ray.
Tornato poi nel nativo Texas in anzianità, visse in casa della sorella Mary Cahill.
Lì lasciò per sempre il suolo terrestre nel 1973.
Barbette, molto probabilmente, fu l’ispiratrice del film tedesco “Viktor und Viktoria” che parlava proprio di una donna che finge di essere un imitatore femminile, la cui firma distintiva era proprio quella di togliersi la parrucca la fine del suo atto. Il film, come sappiamo tutti, divenne poi un famoso musical ed un altrettanto indimenticabile film interpretato da Julie Andrews.

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